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Immagine del redattoreFather Michele Alberto

DOMENICA DEL GIUDIZIO FINALE

Dal Santo Vangelo secondo l’Apostolo ed Evangelista S. Matteo (Mt 25,31-46)


“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.


Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.

Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?


Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà anche a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.


Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".


Riflessione


Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, ogni pace e bene!


In questa domenica dedicata al Giudizio Finale, prima di iniziare la mia riflessione sul brano odierno, vorrei condividere con voi un’omelia ad elevato impatto emotivo di San Basilio di Cesarea (sulla necessità di non attaccarsi alle cose mondane 8):


Se ci viene davanti un povero che, per la fame, a mala pena riesce a parlare, ci voltiamo dall’altra parte dinanzi a uno che è partecipe della nostra stessa natura umana, ne abbiamo disprezzo, ce ne allontaniamo in fretta, come se avessimo paura di dover condividere la stessa disgrazia se camminiamo più lentamente. Se poi quello, provando vergogna della sua disgrazia, tiene il capo chino verso terra, diciamo che la sua è una messinscena ipocrita, se invece volge il suo sguardo verso di noi senza alcun timore, spinto dal pesante stimolo della fame, lo chiamiamo sfacciato e prepotente. E se capita che sia vestito di abiti in buono stato he qualcuno gli ha dato, lo respingiamo giudicandolo insaziabile e giuriamo che finge di essere povero; se invece è ricoperto di stracci indecenti, di nuovo lo cacciamo via pensando che puzzi, e anche se quel tale mescola alle suppliche il nome del Creatore o fa continui scongiuri perché non ci succeda di cadere in disgrazie simili, non riesce a piegare la nostra decisione disumana”.


Amatissimi fratelli e sorelle, certamente ognuno di voi ha ben impressa nella mente la parabola del Buon Samaritano. In quella parabola, il Signore nostro Gesù Cristo è raffigurato come colui che liberamente e amorevolmente ci salva, senza minimante considerare il nostro ceto sociale o la nostra provenienza. E questo suo amore puro e libero da ogni condizionamenti umani, lo spinge a prendersi cura di noi moribondi.


Tuttavia, nel brano che oggi la Santa Chiesa di Dio ci invita ad ascoltare e a meditare, come se fosse la continuazione della stessa parabola, Gesù è raffigurato come colui che ha bisogno del nostro aiuto. Pur rimanendo nel seno del Padre e nell’amore infinito dello Spirito Santo, si presenta a noi come affamato, assetato, straniero, nudo, malato e prigioniero.


Quest’oggi Gesù promulga la legge di Dio. Infatti, la parabola del Giudizio Finale ci dice ciò che dobbiamo accogliere le persone, che la nuova società super modernizzata e super Social, ha dimenticato lungo il suo cammino: coloro che vivono ai margini delle nostre città, coloro che continuamente incrociamo lungo le nostre strade ma noi siamo completamente distratti dalle cose del mondo e abbiamo, tal volta, gli occhi bendati da spesse bende nere che ci impediscono di vedere, effettivamente, le cose importanti. Perché se riuscissimo veramente a vedere al di là del nostro naso, o volgessimo il nostro sguardo al di là dello schermo del nostro smartphone, sapremo riconoscere, per certo, che questo mondo è pieno di interminabili “tesori”. Ognuno con la sua singolare storia, con un proprio passato e un proprio vissuto. E se solo noi fossimo così abili nel prendercene cura, avremo in dono il Regno dei Cieli: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”.


Gesù, identificandosi con i più deboli e con i più piccoli della società, da effettivamente un senso concreto alla sua Immacolata Concezione! Pur essendo Dio non ha mai smesso di essere Uomo e pur essendo Uomo non ha mai smesso, nemmeno per un singolo istante, di essere Dio.

È singolare che questo brano evangelico sia letto in questa particolare domenica.


Dovete sapere, fratelli miei, che io da quasi due anni lavoro presso una comunità sociale dove la tipologia di pazienti sono ragazzi (giovani e adulti) psichiatrici ed alcuni di loro, durante la loro vita, hanno fatto uso anche di droghe. Qualche settimana fa, mentre stavo svolgendo le mie mansioni quotidiane, stavo parlando con un ragazzo che era entrato da neanche un mese all’interno della struttura stessa, e che ora è stato dimesso, in merito di Fede.

Lui, all’età di 14 anni si era allontanato dalla Chiesa Romana perché non riusciva più a credere nell’esistenza viva di Cristo, motivando tale scelta, per una mancanza di prove effettive. Parlando di vari argomenti teologici gli raccontai il passo del Vangelo in questione e aggiunsi “Ma se vedi per strada una persona che è assettata, tu che fai? Gli dai da bere o ti giri da un’altra parte?”. E lui mi rispose: “No. Lo aiuto”. “E perché lo fai?”. “Perché è uno dei miei principi” mi disse. Ed io gli dissi guardandolo negli occhi: “No. Non sono i tuoi principi che spingono ad aiutarlo. È l’amore che ti fa andare incontro all’altro che ha bisogno di te e Dio è questo. Lui è l’Amore personificato!” “Ah ma questo lo dici tu!” ribatté. Allora, fermandomi un momento da quello che stavo facendo, gli domandai se credesse nella scienza. Assolutamente fu positiva la sua risposta e io chiesi: “Da dove proviene la scienza?”. “Dall’uomo” mi rispose. “No. La Scienza è un dono dello Spirito Santo e proviene da Dio” e lo lasciai immerso nei pensieri.


Fratelli e sorelle, ci vuole coraggio nel tuffarsi. Ci vuole fede nel credere per poter abbracciare il mistero immenso della nostra redenzione e dobbiamo pregare continuamente per coloro che hanno il timore, oppure non hanno nemmeno la forza per poterlo fare.


In merito al brano del Vangelo in questione, oltre all’amore, dobbiamo riscoprire la bellezza di avere un cuore. Un cuore vivo e pulsante. Non solo per noi stessi ma anche per il prossimo. E San Gregorio di Nazianzo, nei suoi “discorsi 14,5-6”, lo dice chiaramente:

Se, dando retta a Paolo e a Cristo stesso, bisogna considerare la carità come il primo e il più grande dei comandamenti e come la sintesi della Legge e dei Profeti, trovo che il suo punto più eccelso consista nell’amore per i poveri e nella misericordia e compassione per i nostri simili. Da nulla Dio riceve onore così come dalla misericordia perché niente è proprio a Dio più di essa; lo precedono misericordia e verità, e a lui dovrà essere offerta misericordia prima del giudizio. Nient’altro ricompensa l’amore per gli uomini quanto l’amore per gli uomini da parte di colui che misura con giustizia e pone misericordia sui piatti della bilancia. Occorre aprire il cuore a tutti i poveri e a quelli che soffrono per una ragione più grande, secondo quel precetto che ci ordina di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piange e, poiché siamo umani, dobbiamo portare agli essere umani l’offerta della nostra bontà, là dove ce n’è bisogno a causa della vedovanza, dell’orfanità, della lontananza dalla propria patria, della crudeltà di chi detiene il potere, della prepotenza dei governanti, della disumanità di quelli che riscuotono le tasse, della sete di sangue dei padroni, dell’insaziabilità dei ladri, delle confische, dei naufragi. Sono tutti ugualmente da commiserare e guardano alle nostre mani come noi guardiamo a quelle di Dio, chiedendogli ciò di cui abbiamo bisogno.”


Tuttavia, se la gioia nell’accogliere Cristo sofferente e bisogno ci apre le porte del Regno, il nostro rifiuto, ci apre le porte dell’Ade: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”.

Prestate molta attenzione in questo: è il nostro agire, cioè la cecità che ci impedisce di vedere Gesù nei più piccoli che ci sbarra le porte della Gerusalemme celeste.


Fratelli e sorelle in Cristo, non vi stancate mai di operare il bene. Anche se siete affaticati e oppressi, delusi, in lutto o se vi sentite abbandonati da tutti e da tutto, affidatevi sempre al Signore per diventare testimoni del suo Amore e portare questa gioia, che sorge nell’aiutare l’altro, in un mondo che ormai sta andando in rovina.


Meditate quello che disse San Gregorio di Nissa (omelie sull’amore dei poveri 2,7)


E’ bene ricordare chi siamo quando riflettiamo su altri: siamo uomini che hanno a che fare con uomini e, quanto alla comune natura, non abbiamo niente di diverso. Unico per tutti è l’ingresso nella vita, unico per tutti è il modo per poter vivere: mangiare e bere; simile è la forza vitale, unica è la conformazione dei corpi e la conclusione della vita. Tutto ciò che è stato fatto si disfa. Non vi è realtà che sia dotata di una struttura solida, il nostro soffio vitale, legato al corpo, svanisce nel tempo di una bolla d’acqua; e allora ci spegniamo, non lasciando alla vita neppure una traccia di questo soffio passeggero. Sulle stele, le pietre, le epigrafi vi è il nostro ricordo, ma neppure queste cose rimangono per sempre. Riferisci a te tutto questo. Non insuperbirti, come dice l’Apostolo, ma temi; forse sei tu stesso a importi di essere duro. Dimmi, fuggi il malato? Che cos’hai da rimproverargli?... Straniero, nudo, affamato, malato, prigioniero, e tutto ciò che vien detto nel Vangelo è costui per te. Se ne va in giro, senza fissa dimora e ignudo e per di più malato, bisognoso di tutto a causa della povertà causata dalla povertà. Privo di una casa sua, non può neppure averne una a pigione perché manca di tutto il necessario per vivere, incatenato com’è dalla malattia. Hai qui l’occasione di compiere in pienezza i comandamenti e rendere tuo debitore il Signore di tutti, mostrandoti pieno d’amore per quest’uomo. Perché dunque fare guerra alla propria vita? Non volere restare uniti a Dio di tutto non è altro che diventare violenti contro sé stessi, poiché Dio viene ad abitare in chi osserva il comandamento, così si ritira dove vi è durezza”.


Amati fratelli in Cristo, in questo giorno speciale, la Chiesa ricorda la memoria liturgica di San Fozio, Patriarca di Costantinopoli.


San Fozio fu patriarca di Costantinopoli per ben due volte: la prima dal Natale dell'anno 858 all'867; la seconda dal 877 fino al 886.

Fozio venne alla luce mentre la sua famiglia si trovava in visita a Costantinopoli, città della quale era patriarca suo zio Niceforo I di Costantinopoli. La sua famiglia godeva di autorità a Costantinopoli; il padre si chiamava Sergio ed era capo delle guardie imperiali.

Fozio ebbe un'ottima educazione, fu molto apprezzato come uomo di vasta cultura, filologo, esegeta ed esperto della Patristica e i genitori decisero per lui che avrebbe intrapreso una vita da laico; divenne così docente di filosofia e teologia e successivamente uomo di Stato. Grazie alla parentela con la famiglia Imperiale, poté conseguire incarichi di grande responsabilità, in quanto suo fratello aveva sposato la zia dell'Imperatore Teofilo II di Bisanzio e, grazie a questo appoggio, Fozio occupò in breve tempo posizioni di altissimo prestigio, come quello di Segretario Capo di Stato e Capitano delle guardie del corpo dell'Imperatore.


Nell'anno del 857 l'imperatore Michele III di Bisanzio, detto l'Ubriaco (842-867), succedette al padre Teofilo II di Bisanzio nel 842. Non potendo occuparsi degli affari di Stato a causa della minore età - Michele III aveva solo due anni quando si ritrovò Imperatore di Bisanzio - la reggenza dell'Impero fu affidata alla madre, l'Imperatrice Teodora, che rimase in carica fino al 858. Fra i diversi atti della sua reggenza, ci fu, in particolare la comminatoria dell'esilio al patriarca Ignazio I di Costantinopoli, con il pretesto di aver rifiutato di dare la comunione allo zio dell'Imperatore, Bardas.

Teodora aveva dunque bisogno di nominare un nuovo patriarca di Costantinopoli e fu scelto Fozio, a quell'epoca ancora un laico. Per realizzare tale risultato, Teodora lo nominò vescovo dopo soli cinque giorni dall'esilio del patriarca Ignazio e, nel Natale dello stesso anno 858, Fozio fu nominato patriarca di Costantinopoli. Ma la situazione non si rivelò così semplice da risolvere, dato che Ignazio non ebbe la minima intenzione di rinunciare placidamente al seggio patriarcale. Si recò allora a Roma, dove chiese e ottenne un colloquio con il Papa Niccolò I detto il Magno (858-867); quest'ultimo fu subito pronto ad appoggiare Ignazio, e, a tal fine, convocò immediatamente un sinodo, che si tenne nel 863 a Roma, dove fu dichiarato: che il Papa non riconosceva la deposizione di Ignazio; che venivano altresì scomunicati i legati papali, da lui inviati a Costantinopoli nel 861 per decidere sulla questione e che, invece, si erano fatti corrompere e che, di conseguenza, Fozio veniva scomunicato, se avesse insistito nella usurpazione del seggio patriarcale.

Fozio non gradì l'affronto di una possibile scomunica e a sua volta con l'appoggio dell'Imperatore Michele III, scomunicò il Papa nel 867. Fozio inviò un'enciclica a tutti i vescovi bizantini, spiegando alcuni punti di divergenza con la Chiesa di Roma, la quale a seguito di una serie di riforme impose: L'aggiunta del filioque al credo, il celibato per i presbiteri, la fissazione dell'inizio della quaresima al Mercoledì delle Ceneri.


Tuttavia, sempre nel 867, Michele III fu assassinato e al suo posto divenne Imperatore il suo carnefice, Basilio I di Bisanzio (867-886), fondatore della Dinastia macedone. Basilio tolse a tutti coloro che avevano alte cariche sotto Michele il loro impiego e designò altri dignitari di sua fiducia. Al fine di giungere a un accordo con Roma, anche Fozio fu deposto dal suo incarico di Patriarca e Ignazio fu reinstallato al suo posto. Questo avvenimento, con il relativo riavvicinamento della Chiesa d'Oriente a Roma, fu suggellato dal Concilio di Costantinopoli del 869, voluto da Papa Adriano II (867-872).

Fozio fu esiliato in un monastero sul Bosforo, con molta probabilità a Cherson in Crimea. Dopo alcuni anni, Basilio I richiamò a corte Fozio, il suo compito fu di fare da precettore a Costantino, uno dei figli dell'Imperatore.


Nel 877 Ignazio I di Costantinopoli morì e si pose il problema di individuare un sostituto per il Patriarcato sul Bosforo. Basilio I di Bisanzio decise allora di rinominare Fozio patriarca di Costantinopoli, visto che era una persona molto popolare nella capitale e tutti lo conoscevano di fama. Persino Papa Giovanni VIII (872-882) ne approvò la nomina.

Fozio raggiunse il culmine del suo trionfo con il Concilio di Costantinopoli del 879 - 880, dove revocò le decisioni dal precedente Concilio del 869, nel corso del quale era stato fatto patriarca Ignazio e riaprì i punti di controversia dottrinale e teologica con Roma. Nel corso dello stesso Concilio, Fozio fece altresì dichiarare ai vescovi che la Bulgaria, dove nel 865 il re Boris aveva indicato il cristianesimo come religione di Stato, doveva far parte della sfera d'influenza religiosa - e quindi politica - del Patriarcato di Costantinopoli e che pertanto le era vietata la creazione di un autonomo patriarcato.

Papa Giovanni VIII scomunicò immediatamente Fozio, ma tale scomunica non ebbe alcun effetto, se non quello di creare una maggiore divisione tra la Chiesa d'occidente e quella d'oriente.

Nel 886, salì al trono di Bisanzio un nuovo Imperatore, Leone VI di Bisanzio, detto il Filosofo (886-912), che con alcune accuse senza fondamento verso Fozio, lo fece deporre per nominare al suo posto il fratello dell'Imperatore, Stefano I di Costantinopoli. Questa procedura fu ritenuta irregolare da Papa Stefano V (885-891) e perciò quest'ultimo lanciò un'ulteriore scomunica diretta al nuovo patriarca di Costantinopoli.

Fozio, dopo essere stato deposto e bandito da corte, fu fatto segregare in un monastero in Armenia per ordine dell'Imperatore. La morte lo colse nel 893, mentre ancora si trovava segregato nel monastero armeno dove fu mandato in esilio.

Fozio aveva posto le basi teologiche e politiche per lo Scisma d'Oriente, che avvenne nel 1054, un secolo e mezzo dopo di lui.

Carissimi fratelli, preghiamo affinché San Fozio, la Santissima Vergine Maria Madre di Dio e San Giuseppe, suo castissimo sposo, possano vegliare sul nostro cammino e condurci verso a Gesù Cristo riconoscendolo sempre nel nostro fratello più emarginato; che lo Spirito Santo possa donarci un cuore puro per non stancarci mai di donare amore.

Che il Signore vi benedica sempre!


Michele Alberto Del Duca, Arcidiacono.


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