“Gustate e vedete quant’è buono è il Signore!”
Dal Santo Vangelo secondo l’Apostolo ed Evangelista San Luca (14: 16-24)
In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!».
Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”.
Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”.
Riflessione
Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, pace e bene!
In questa XXVIII domenica dopo Pentecoste, la Divina Liturgia odierna ci propone il brano evangelico, tratto dal Santo Vangelo di San Luca, riguardante la parabola della grande cena o, come la chiama San Matteo, la parabola del banchetto di nozze (Mt 22: 2-14).
Il vangelo di oggi continua la riflessione attorno a temi legati alla tavola ed all'invito. Gesù racconta la parabola del banchetto. Molta gente era stata invitata, ma la maggior parte non andò. Il padrone della festa rimase indignato per l'assenza degli invitati e mandò a chiamare poveri, storpi, ciechi e zoppi. E nonostante questo c'era ancora posto. Allora ordinò di invitare tutti, fino a che la casa fosse piena. Questa parabola era una luce per le comunità del tempo di Luca.
Nelle comunità del tempo di Luca c'erano cristiani, venuti dal giudaismo e cristiani venuti dai gentili, chiamati pagani. Nonostante le differenze di razza, classe e genere, loro vivevano a fondo l'ideale della condivisione e della comunione (At 2,42; 4,32; 5,12). Ma c'erano molte difficoltà perché alcune norme di purezza formale impedivano ai giudei di mangiare con i pagani. E pur dopo essere entrati nella comunità cristiana, alcuni di loro conservavano questa vecchia usanza di non sedersi a tavolo con un pagano. Per questo Pietro entro in conflitto con la comunità di Gerusalemme per essere entrato a casa di Cornelio, un pagano, e per aver mangiato con lui (At 11,3). Dinanzi a questa problematica delle comunità, Luca conservò una serie di parole di Gesù nei riguardi del banchetto (Lc 14,1-24). La parabola che qui meditiamo è un ritratto di ciò che stava avvenendo nelle comunità.
Il contesto di questa parabola, ruota attorno al pasto, alla cena di Gesù con certi Farisei.
Gesù è stato invitato a pranzo da uno dei principali Farisei, è l’occasione di parlare dell’umiltà, a non scegliere i primi posti al pranzo delle nozze e poi dice di invitare le persone che non possono contraccambiare: poveri, storpi zoppi e ciechi, il contraccambio sarà reso alla resurrezione dei morti e così sarà beato dice Gesù.
Uno degli invitati, probabilmente un Fariseo, udite queste cose, riguardo la cena, dice beato chi mangerà pane nel regno di Dio futuro, quindi dopo la resurrezione (v.14).
L'idea di benedizione alla risurrezione dei giusti porta uno degli invitati all’affermazione: "Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!" (v.15).
L’uomo probabilmente credeva come la maggior parte dei suoi connazionali, che solo i Giudei sarebbero stati invitati al banchetto in cielo e certamente lui pensava di far parte di questa schiera.
Ma per partecipare a questo banchetto bisogna rispondere positivamente all’invito, dirà Gesù.
Gesù così racconta una parabola in risposta a questo invitato e dice che un uomo preparò una gran convito, e invitò molti e mandò il suo servo a dire agli invitati che la cena era pronta.
Carissimi fratelli e sorelle, quanto è bello e quanta gioia proviamo nel poter partecipare ad un banchetto nuziale. Tuttavia, da diversi anni a questa parte, questo tema, in Teologia, è stato erroneamente abbinato all’Eucaristia. Questo abbinamento fa parte del mondo protestante.
I protestanti riconoscono solo due Sacramenti, ovvero quelli istituiti da Gesù nelle Sacre Scritture: il Battesimo e l’Eucaristia. Tutti gli altri sono rituali stabiliti dagli uomini di Chiesa. Tuttavia, nell’Eucarestia rifiutano il concetto di transustanziazione: Cristo non è davvero presente nel pane e nel vino, ma la sua presenza è simbolica, il rito è solo un modo per ricordare l’Ultima Cena e il Suo sacrificio. E qui si evince subito la prima gaffe: perché se è solo un memoriale allora non è più un Sacramento, un Mistero, dove viene a mancare la vera fonte, il vero artefice della nostra salvezza: Gesù Cristo Nostro Dio, Signore e Salvatore. E per tanto, se l’Eucaristia è priva di ogni principio di Salvezza, a che cosa serve a prenderla? La sua valenza è la stessa di una medicina scaduta!!!!
Al contrario, la Santa Chiesa che è Cattolica e Ortodossa, questo modo di pensare è inammissibile. Sant’Ignazio d’Antiochia definisce l’Eucaristia come “farmaco d’immortalità”. Perché noi crediamo che quel pezzo di pane e quel vino non sono lì sull’altare per ricordare un avvenimento storico ma bensì, grazie all’intervento dello Spirito Santo, ci troviamo al cospetto del Santissimo Corpo e del Preziosissimo Sangue di Cristo: L’Eucarestia. Il più prezioso dono di Cristo alla Chiesa e alla società umana. Ed è proprio comunicando con il Corpo e Sangue di Cristo, nostro Signore e nostro Dio, per la remissione dei nostri peccati e per la vita eterna, che accettiamo personalmente e liberamente, e grazie a questo potente ed immenso Sacramento, si realizza la nostra unione con il Corpo di Cristo.
Tuttavia, questa unione non sempre viene concretizzata:
Riferendosi a questo banchetto celeste, Gesù racconta una parabola di un uomo che preparò una gran cena e invitò molti e all’ora della cena inviò un servo a dire agli invitati che la cena era pronta.
Era consuetudine tra gli ebrei dare un doppio invito, il primo invito serviva agli ospiti per informarli riguardo il giorno e il secondo invito era il giorno della cena quando tutto era pronto, il padrone di casa mandava così il servo a chiamare gli invitati (Cfr. Ester 5:8; 6:14).
Noi vediamo le scuse degli invitati nel declinare l’invito e questo indicava una mancanza di cortesia, quindi era un comportamento offensivo, era un forte messaggio sociale negativo sfidando l'autorità e l'onore di chi ospitava e proprio a motivo dell’ingratitudine si è creato il detto: "non fare il bene se non sai sopportare l’ingratitudine”. Perché se ci aspettassimo necessariamente la gratitudine nessuno più farebbe il bene.
Ma vediamo che sono scuse, senza senso per dimostrare che questi invitati non avevano mai avuto voglia e interesse di partecipare.
1) La prima scusa: l’uomo aveva comprato il campo e lo doveva andare a vedere.
Sembrerebbe una bugia, perché come si fa a comprare un campo senza, prima, vederlo? Anche se l’avesse comprato, il campo, non scappava via, poteva vederlo anche dopo, questa era una scusa che non regge.
2) La seconda scusa: l’uomo che ha comprato cinque paia di buoi e voleva andarli a provare.
L'acquisto di cinque paia di buoi indica che era ricco e che sicuramente aveva fatto un grande acquisto.
Anche in questo caso vale la stessa cosa del primo caso, poteva provarli un’altra volta, anche questa era una scusa perché l’invitato non voleva partecipare al banchetto.
3) La terza scusa: l’uomo che ha preso moglie e non poteva andare.
Secondo la legge, l’uomo che si doveva sposare, o appena sposato non doveva andare in guerra per un anno come per affari importanti, quale aver comprato casa, o una vigna (Deuteronomio 20:5-7; 24:5), ma non che era esente dal partecipare a un banchetto, quindi la circostanza è diversa, questa è ancora una scusa perché non voleva andare al banchetto.
Tutte queste scuse sono state deboli, l'invito è stato rifiutato da tutti gli invitati.
Ma chi sono queste persone? A chi si riferisce Gesù?
Carissimi fratelli, possiamo benissimo constatare, che attraverso questa parabola, Gesù chiama alla salvezza, come una vera scialuppa di salvataggio, il popolo di Israele.
Un popolo che lo rinnega, che trova scuse per non accettarlo. E dalla loro durezza e cecità, Lui emana la sua condanna affermando: “Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena” e dirige il suo, a questo punto, il suo amore incondizionato su coloro che hanno un cuore puro e aperto disposto ad accoglierlo.
Al giorno d’oggi, queste persone che non hanno accetto l’invito del Signore sono tutti coloro che si sono allontanati dalla sua volontà, rimanendo nelle loro perfide convinzioni, allontanandosi dalla vera via e dalla vera fede (la Chiesa in Roma può essere un esempio ampliamente sufficiente).
Questo invito alla salvezza rimane aperto. È un invito che viene rivolto ad ognuno di noi continuamente e solo nel nostro silenzio interiore sappiamo veramente se abbiamo risposto degnamente alla chiamata oppure abbiamo preferito declinare l’invito a causa dei piaceri del mondo.
Su coloro, invece, che non hanno ancora deciso se accettare o rifiutare l’invito a causa dell’insicurezza, prego ardentemente lo Spirito Santo Paraclito, il Datore di Vita, affinché scenda su di essi e loro, illuminati dalla Sua luce, scelgano saggiamente.
Il brano evangelico si conclude con il ritorno del servo dal suo padrone e gli riferì quello che era successo, allora il padrone di casa si adirò e disse al servo di andare per le piazze e per le vie della città e di condurre: poveri, storpi, ciechi e zoppi, stesse categorie che Gesù aveva detto, precedentemente, d'invitare (14:13).
Il servo ha fatto come il padrone aveva comandato e ritorna dicendo che c’è ancora posto, così il padrone chiede al servo di andare ancora per le strade e lungo le siepi, e costringere a entrare a casa gli altri invitati finché la casa fosse piena.
Carissimi fratelli, guardate con quanta insistenza il Signore ci chiama affinché, attraverso di Lui, noi ci salviamo. Amatissimi fratelli, quando il Signore ci chiama non restiamo preda delle nostre paure ma, anzi, buttiamoci e affidiamoci totalmente alla sua volontà come la Nostra Santissima Madre fece durante il giorno in cui ricevette dall’Arcangelo Gabriele l’Annunzio di diventare la Madre di Dio.
Che la Santissima e Sempre Vergine Maria vi guidi sempre e in ogni momento della vostra vita e illuminati dallo Spirito Santo, come veri Discepoli di suo Figlio, e attraverso le fervide preghiere di San Sinesio Martire di Roma (che fu ordinato Lettore al tempo del beato Papa Sisto II, ed avendo convertito molti a Cristo, fu accusato presso l’Imperatore Aureliano, e percosso da spada ricevette la corona del martirio) voi possiate dare effettivamente un senso concreto alla vostra vita nel Patire con Cristo, in Cristo e per Cristo!
"Oggi se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!"
(Ebrei 4:7; Salmi 95:7-8)
Michele Alberto Del Duca, Arcidiacono.
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